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di Alessandra Piubello

Un territorio di forti contrasti. Sanguigna terra bagnata da due mari. Assolata e accecante. Selvaggia e antica. Aspra, dura e arsa, il tacco diun’Italia di cui non sembra essere parte. Ancorata a ritmi ancestrali di civiltà passate, dagli arcani simbolismi. Dominata da variopinti paesaggi luminosi, sferzati dal vento, percorsi da filari di vigne. Salento, patria d’elezione del Negroamaro, coltivato quasi esclusivamente qui, pressoché scomparso altrove. 
 
I suoi suoli sono prevalentemente di natura calcareo-argillosa, i più adatti: terroir con clima caldo e asciutto danno vita alle uve ideali per le migliori espressioni di questa varietà. Pur non avendo notizie certe sulle sue origini, forse provenienti dai Balcani, si può affermare ragionevolmente che la sua coltivazione risalga all’epoca della colonizzazione greca, nell’VIII secolo a.C., quando il Salento era ancora popolato dai Messapi. Sembra che proprio sulle navi che invasero le coste dell’Adriatico viaggiassero le prime talee di Negroamaro. E ora, domanda: che dite, un vitigno sa trasformarsi in musica? Il Negroamaro riesce, e non solo nel bicchiere. Bene lo sapevano i musicisti salentini che oramai calcano i palcoscenici del mondo, quando decisero di titolare la propria band in suo onore. 
 
La derivazione del suo nome è tuttavia controversa, ed esistono due principali interpretazioni. La prima dipende dal dialetto locale e, precisamente, da niuru maru, che significa nero amaro; questo termine racchiude in sè una descrizione del vino di un tempo, scuro e leggermente amarognolo (le note amaricanti non si ritrovano quasi più oggigiorno però,in seguito all’uso del legno). Una seconda spiegazione, invece, propendeper un’origine classica e, precisamente, dai termini niger e mavrosche, rispettivamente, significano nero in latino e in greco: quindi,Negroamaro non sarebbe null’altro che l’italianizzazione ripetuta dinero-nero. Attualmente il Negroamaro in Puglia è presente in ben 14 Dop (sulle 28 totali), vinificato sia in purezza sia in blend con altri vitigni,in particolare con i compagni di sempre, la Malvasia nera e il Sussumaniello. 
 
Peraltro raramente pure con il Primitivo, con il quale si contende più sfide, anche in termini di ettari vitati in regione: dagli ultimi dati, (AGEA 2012), la differenza è di pochi ettari: 11.760 ettari per il Primitivo, 11.392 per il Negroamaro. Una ricerca, condotta dalla Facoltà di Medicina dell’Università di Bari, ha evidenziato nel Negroamaro un’elevata quantità di polifenoli totali (superiori al Primitivo), mettendo dunque in luce le loro proprietà antinfiammatorie e antiossidanti. Al sistema tradizionale di allevamento ad alberello pugliese, che garantisce se adeguatamente gestito un’eccellente qualità, purtroppo a costi elevati, si sono nel tempo affiancati sistemi di allevamento a spalliera (cordone speronato) ad alta densità che consentono buoni risultati. 
 
In passato il Negroamaro, per la sua massiccia coltivazione, era conosciuto unicamente come vino da taglio, utilizzato molto spesso per migliorare i vini del nord Italia con il suo intenso colore e la sua struttura alcolica. Ma grazie al lavoro di alcuni produttori che hanno mirato alla qualità, tale varietà è riuscita a crearsi un suo spazio precipuo, dimostrando così le sue espressive caratteristiche organolettiche, arrivando a ottenere prestigiosi riconoscimenti nei concorsi enologici italiani e internazionali e nelle guide. 
 
Il vitigno crea, da solo o accompagnato, la reputazione di molti dei migliori vini del Salento: ecco i freschi e sapidi rosati, con o senza bollicine; i rossi che si declinano in variazioni moderne, equilibrate e di beva piacevole ma anche in versioni tradizionali più strutturate, potenti e intense, dai tannini maturi, stoffa elegante e morbida, note speziate, balsamiche, empireumatiche e di frutta matura. Può anche prestarsi a vendemmie tardive o surmature di personalità e solarità tutta mediterranea. Versatile e dinamico, presenta vesti intense e brillanti con tonalità dal rosa antico al corallo oppure con colore rubino scuro di bella fittezza. E, sul rosato da Negroamaro, va dato atto al primato salentino: il Five Roses de Castris, nel 1943, èstato il primo rosato imbottigliato in Italia. Una bella storia da raccontare, alla quale va aggiunta quella di tanti bravi produttori della zona. In particolare, grazie al Consorzio Movimento Turismo del Vino Puglia (e alla battagliera Vittoria Cisonno), alla Regione Puglia e al Comune di Copertino, abbiamo potuto assaggiare i Negroamaro delle Cantine Cupertinum, Moros, Cantele, Bonsegna, Feudi diGuagnano, Petrelli, Castello Monaci, Tenuta Mater Domini, Leone de Castris, Palamà, Due Palme, Masseria Altemura, Paolo Leo, Apollonio. Appurando che ben si abbina alla gastronomia pugliese: con ciceri e tria (zuppa di ceci e similtagliatelle, delle quali una partefritta), cecamariti (minestra di piselli secchi con pane fritto e cavolo nero oppure cime di rapa), pezzetti di carne di cavallo al sugo, purea di fave con le cicorielle, capocollo di Martina Franca su una fetta di pane d’Altamura o di Laterza, formaggi della Valle d’Itria o burrata d’Andria, pignata di cicerchia, orecchiette con le cime di rapa, friselle con pomodoro fresco. 
 
Il Negroamaro sta al Salento come la pietra leccese sta al Barocco. Sia l’uva sia i celebri massi dorati sono un regalo di questo generoso ‘tacco’ salentino, ed entrambi rappresentano due riuscite espressioni del territorio. Un viaggio nel Salento, non solo per l’enogastronomia,va vissuto: proprio in questa terra di santi e marinai che unisce il sacro al profano. Energie concentrate tanto nei bianchi santuari quanto nelle lunghe dita delle nere notti tarantolate. Luogo di storie dell’altromondo con santi come San Giuseppe da Copertino e storie di celluloide, con film girati in questo splendido set naturale. Opere d’autore in svariati linguaggi creativi su un palcoscenico che aspetta il suo pubblicododici mesi l’anno per uno spettacolo che non lascia delusioni.

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